Chi non ha desiderato almeno una volta di rivivere una grande partita di calcio, o magari un'intera competizione?
"Non ci resta che il crimine", film di Massimo Bruno con Alessandro Gassmann, Marcio Giallini, Gianmarco Tognazzi, Edoardo Leo e Ilenia Pastorelli ci riporta al Mondiale del 1982, vissuto nella Roma della Banda della Magliana.
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Oggi vi raccontiamo di una delle partite più importanti della storia della nazionale scozzese, cioè quando vinse per 3-2 a Wembley, in casa dell’Inghilterra campione del mondo.
Prima però un prologo, visto che la competizione era il Torneo Interbritannico. Si trattava di un torneo amichevole che si svolgeva ogni anno, mettendo a confronto le nazionali di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Era organizzato con un girone all’italiana con partite di sola andata. Chi chiudeva in testa, si portava a casa la coppa. È vero che era un torneo amichevole, ma nonostante questo il trofeo era molto ambito.
L’edizione in questione, quella del 1967, era valevole inoltre anche per le qualificazioni all’Europeo dell’anno seguente, in programa in Italia.
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Il rossonero delle maglie del Milan nasce da un’idea di Herbert Kilpin, fondatore e capitano del Milan Football and Cricket Club. Celebre è la sua frase: “Rosso come il fuoco e nero come la paura che incuteremo agli avversari”. Come nel caso della Juventus, Kilpin si ispirò al modello inglese: berrettino a strisce rossonere (il cap), camicia degli stessi colori e lo stemma della città di Milano sul petto.
Come c’era da aspettarsi, il Regime Fascista impose alcune norme sui colori e simboli delle squadre sportive italiane. Nel caso del Milan, la prima divisa fu bianca con una striscia rossonera verticale e centrale. La squadra passò a chiamarsi addirittura “Milano”.
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Colui che inventò i colori nerazzurri della FC Internazionale Milano fu Giorgio Muggiani, grafico, pittore nonchè fondatore della società. E perchè il nero e l’azzurro? Muggiani prese spunto dai colori della notte della fondazione in quel di Milano, aggiungiendoci una spruzzatina di giallo, il colore delle stelle.
In generale, durante i decenni, i cambiamenti più sostanziali riguardano il numero delle righe, che sono variati incessantemente.
Agli albori, le righe nerazzurre erano abbastanza strette anche se ogni maglietta non aveva le strisce di identiche dimensioni. Ogni giocatore aveva la sua e se la faceva fare lui stesso, dal fornitore che voleva (che spesso era la mamma…).
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Durante i più di 50 anni della sua storia, la maglia della Juventus ha subito pochi cambiamenti, restando sempre a striscie verticali bianche e nere.
Le uniche variazioni si riferiscono alla larghezza delle striscie, alla forma del colletto e al colore dei pantaloncini e dei calzettoni.
Negli anni quaranta si adottò un colletto a girocollo abastanza stretto, mentre negli anni cinquanta e sessanta le striscie erano più larghe del normale ed il colore dei calzettoni passò ad essere definitivamente il bianco: passarono alla storia i numeri sulla schiena, di un vivace rosso (vennero riutilizzati nella stagione 99/00).
Dopo dieci anni senza cambiamenti significativi, nella seconda metà degli anni 70 furono indossate magliette con un numero maggiore di linee, e quindi più strette. I pantaloncini erano corti, aderenti (come le divise) e bianchi, nello stile più puro dell’epoca.
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La storia della maglia della Juventus presenta un aneddoto molto singolare, cioè l’origine dei classici colori bianconeri: il Notts County. Proprio così, questo piccolo club inglese senza molto da raccontare è stata la causa della scelta di questi storici colori.
Nei suoi primi anni di vita, la Juve giocava con una maglia rosa. Erano maglie molto arcaiche, quasi delle camicie con il cravattino, un po’ in stile cricket se vogliamo. Di fatto, la Juventus ripropose il rosa nella seconda maglia dell’anno scorso (la terza di quest’anno).
Tutto partì da John Savage, un mercante di Nottingham, che propose ai dirigente torinesi di rinnovare un abbigliamento veramente austero. L’idea iniziale era realizzare le divise sul modello di quelle rosse del Nottingham Forest, prima squadra della città.
Gli Juventini accettarono e Savage diede l’incarico a una fabbrica locale, accompagnato da una maglia rosa originale della Juventus.
Il personale della fabbrica, vista la maglietta così scolorita, credettero che si trattasse di una vecchia maglia bianco nera, piuttosto che rosa.
Quindi mandò a Torino un intero stock di magliette dell’altra squadra della città, il Notts County. Si da il caso che il Notts County vestiva in striscie verticali bianconere.
Al momento della consegna, l’impatto per la dirigenza juventina non fu propiamente positivo: “Sono funeree”, esclamarono.
Però, un po’ per la `prossimità dell’inizio del campionato, un po’ per l’orgoglio di vestire comunque in stile british, alla fine accettarono la mercanzia.
Curiosamente queste magliette bianconere portarono molta fortuna alla Juventus. Nel 1903 si raggiunge per la prima volta la finale scudetto e, due anni dopo, si vince il primo tricolore della storia.
Eh si, quelle banali magliette del Notts County, frutto di una serie di sbadataggini, per scaramanzia non vennero più abbandonate e scrissero e continuano a scrivere la storia del calcio.
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Il primo post di questo retroblog non poteva non essere una rivisitazione della storia della maglia della nostra nazionale, la squadra che tutti noi amiamo e a cui sono legati i ricordi più romantici e puri del gioco del calcio.
Anche se molti non lo sapranno, la casacca originaria dell’Italia non era azzurra, bensì bianca (anche se è durata solo per due partite). Questo perchè? Non c’è una risposta chiara a questa domanda: forse per rendere omaggio alla Pro Vercelli (la squadra più blasonata dell’epoca, i primi anni del 900), forse per i costi, forse perchè la fantasia era poca.
Il colore azzurro irruppe solo nella terza partita, e si scelse per il colore dello stendardo della casa reale italiana, i Savoia. Sul cuore, si poteva vedere lo stemma sabaudo, croce bianca su sfondo rosso.
Il fascismo successivamente portò alcuni cambiamenti: l’aggiunta del fascio littorio sopra allo stemma sabaudo e l’adozione in alcune partite della maglia nera.
Gli albori della maglia azzurra così come la conosciamo li troviamo dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando lo stemma dei Savoia venne sostituito dallo scudetto tricolore.
Queste maglie erano molto semplici, con le uniche variazioni nel colletto: polo, girocollo , laccetti ecc.
Simbolo di questi decenni è la maglia girocollo protagonista della vittoria a Euro 68 e del grande Mondiale del 70, culminato con la partita del secolo, Italia – Germania 4-3. Questa maglia nel nostro immaginario è la “prima” dell’Italia, dati i tanti reportage che sono stati dedicati a quella squadra (http://www.retrofootball.it/maglia-retro-italia-anni-70.html ).
Da lì in poi, piombano sulla scena gli sponsor tecnici, anche se inizialmente non appariranno sulla maglia.
Il primo fu Adidas, che sinceramente non lasciò grandi tracce.
Molto più stilosa è stata Le Coq Sportif, che creò la leggendaria maglia a polo e con i bordi tricolori sulle maniche e sul colletto. Tutti noi abbiamo flash diffusi di questa divisa, poichè protagonista di una delle pagine più dolci del nostro calcio, il Mondiale del 1982 in Spagna: l’urlo di Tardelli, i gol di Paolo Rossi, Altobelli e compagnia…, tutti sotto l’ala protettrice di Dino Zoff (http://www.retrofootball.it/maglia-retro-italia-mondiale-1982.html ).
Da qui la maglia sarà sempre la stessa fino a metà degli Anni 90, con l’unico cambiamento della inserzione delle tre stelle e dei vari stemmi della FIGC sul cuore.
Nell’ultima metà degli anni 80 Diadora propone uno stemma tondo tricolore al posto dello scudetto. Nelle nostre menti, gli occhi spiritati di Schillaci sopra questo nuovo símbolo (Italia 90).
Per il mondiale del 94 cambia ancora lo stemma, ce lo ricordiamo tutti sul cuore di Roberto Baggio durante le prodezze americane, purtroppe tristemente finite sulle stelle del cielo di Los Angeles.
Nel 96 Nike sponsorizza l’Italia, senza lasciare troppo il segno. Memorabile la scritta ITALIA posizionata proprio all'altezza dei fondoschiena dei giocatori che fece scoppiare molte polemiche. Nike tolse anche i bordi tricolori, sostituendoli con un marrone/bronzo.
Alla fine del secolo, irrompe sulla scena Kappa ed è da qui che i loghi delle marche cominciano ad apparire sulle casacche. La Kappa , dopo un primo modello anónimo, sfodera l’indimenticata Combat, maglia aderentissima che faceva sembrare i giocatori degli autentici guerrieri. Inoltre, Kappa fece ritornare lo scudetto al vecchio stile degli anni 70.
Dopo il Mondiale 2002 e fino ai giorni nostri, è toccato a Puma prendere le redini della nostra sacra divisa.
Il primo hit realizzato è stato inserire lo scudetto sia sui pantaloncini sia sui calzettoni.
Per il resto, i primi modelli sono abbastanza classici, con la unica novità dei numeri in oro.
Quando Puma volle imporre la novità, lo fece in una maniera abbastanza discutibile. Nel Mondiale 2006 vennero aggiunte delle sfumature blu ai lati, che sembravano più che altro macchie di sudore. Anche se senza ombra di dubbio tutti noi ricordiamo quella maglia con molto affetto, la maglia con cui Fabio Cannavaro alzò orgoglioso al cielo di Berlino la quarta copa.
Da allora si registra un cambio nello scudetto, con l’aggiunta della quarta stella e uno stile più moderno.
Dopo la maglia retro della Confederation Cup 2009, la divisa della disastrosa spedizione in Sudafrica presentava dei particolari bianchi sulle spalle e sulle braccia.
L’ultimo kit della Nazionale di calcio, la splendida creatura di Cesare Prandelli, sintetizza invece lo stile "future-classic" in un design ispirato alla tradizione Italiana, con un colletto bianco dai bordini tricolore in stile polo ma con un look innovativo. In più, l’azzurro di fondo presenta interessanti sfumaure: niente da dire, a mio avviso la migliore maglia tra quelle realizzate da Puma.